Opinioni, Sicurezza, salvamento

Occorre apportare alcuni chiarimenti in merito all’articolo di Stefano Mazzei di Salvamento Academy, pubblicato lo scorso 16 novembre su Mondo Balneare, in merito alla sentenza del Tar che accoglie la sua domanda per organizzare corsi per il conseguimento del brevetto di bagnino di salvataggio e assistente bagnanti. L’articolo è scritto dal suo punto di vista, visto che è il beneficiario della sentenza; come del resto è scritto il mio. Anche se adesso sono in pensione, sono stato per molti anni alla direzione della Società nazionale di salvamento. E qualcosa resta.
Premetto che un riordino della materia relativa ai brevetti di bagnino è assolutamente necessario. D’altra parte, il decreto n. 206 del 29 luglio 2016 è stato rinviato più volte perché scritto così male da renderlo inapplicabile, in grado di bloccare il processo formativo anziché renderlo più snello. Purtroppo la classe politica che abbiamo oggi ha dato ripetute prove di non saper scrivere come si deve una legge o un decreto.

La Società nazionale di salvamento è nata nel 1871. Nell’ottocento, quando era solo un’élite che frequentava le spiagge e praticava i bagni di mare, probabilmente non erano molti i casi di annegamento in ambito balneare, tant’è vero che le società di mutuo soccorso che hanno poi formato le attuali società di salvamento, in Europa e nel mondo, sono nate per organizzare il salvataggio di naufraghi partendo dalle spiagge con scialuppe di salvataggio quando pescatori o marinai, nel tentativo di salvarsi, si gettavano a riva. Queste associazioni supplivano a un bisogno sociale che lo Stato liberale del tempo non era in grado di soddisfare. La storia e i governi hanno poi assegnato a queste associazioni il compito di formare i “bagnini di salvataggio” quando le masse si sono riversate sulle spiagge e gli incidenti di annegamento hanno cominciato a verificarsi in ambito balneare su larga scala.

Le società di salvamento ammontano a un numero di una o due per ogni paese. In Italia, come in Germania, sono addirittura tre: la Società nazionale di salvamento, la Federazione italiana nuoto (sezione salvamento) e la Federazione italiana di salvamento acquatico. Non solo in Europa, ma in tutto il mondo si tratta di associazioni non commerciali (ovvero no profit), nate molti anni fa, che gestiscono i corsi per la formazione dei bagnini di salvataggio e rilasciano il relativo brevetto: Österreiche Wasser-Rettung (Austria), Féderation Francaise de Sauvetage et de Secourrisme (Francia), Deutsche Lebens-Rettungs-Gesellschaft (Germania), Irish Water Safety (Irlanda), KNBRD Reddingsbrigades Nederland (Paesi Bassi), Instituto de Socorros a Naufragos (Portogallo), Real Federaciòn Espanola de Salvamento y Socorrismo (Spagna), Svenska Livraddningsallskapet (Svezia), Royal Lifesaving Society (Regno Unito), eccetera. Con la parziale eccezione della Francia e di Cuba, in nessun paese è lo Stato che gestisce direttamente i corsi di formazione dei bagnini di salvataggio o emette in proprio i relativi brevetti.

L’attività svolta dalle società di salvamento si configura come la gestione di un servizio di interesse economico generale che, secondo il disposto dell’articolo 106, comma 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, quando sia svolto sussidiariamente da associazioni private – cioè in sostituzione dello Stato – è sottoposto alle regole di concorrenza solo «nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, alla specifica missione loro affidata». È difatti necessario, com’è ovvio, che vi sia un rapporto fiduciario tra lo Stato e l’associazione autorizzata a rilasciare le relative abilitazioni per suo conto. Sono dunque queste le associazioni che “da sempre” si sono occupate del salvataggio in mare, del nuoto di salvamento e delle tecniche di respirazione artificiale (oggi confluite nel BLS, le manovre di sostegno alle funzioni vitali).

Il decreto ministeriale n. 206 del 29 luglio 2016 ha modificato questa impostazione storica e solo in Italia, a differenza del resto d’Europa, il legislatore – più europeista degli europei – ha pensato che fosse materia di concorrenza commerciale (anche se, per inciso, non c’entra proprio nulla con la direttiva Bolkestein). In sostanza, si è stabilito che il mercato debba allargarsi anche ad altre offerte formative perché la concorrenza ha l’effetto di migliorare l’offerta, abbassare i prezzi e aumentare “le vendite” (cioè, nel nostro caso, il numero dei brevettati). Ma mi permetto di affermare che l’effetto prodotto dal decreto – almeno così com’è – sarà proprio il contrario.

In Italia i corsi per il conseguimento del brevetto di bagnino di salvataggio e assistente bagnanti sono gestiti attualmente da tre associazioni no-profit, che cioè non hanno scopo di lucro, e quindi non hanno ricarichi fiscali e impiegano un personale formato per intero da volontari che hanno diritto solo a rimborsi. Questo ha fatto sì che un corso di tre mesi di 50 ore – metà delle quali in piscina – costi soltanto (in media) 400 euro circa. Il decreto apre invece le porte anche a enti commerciali (come la Salvamento Academy) che hanno un ricarico fiscale e il cui personale impiegato è pagato come lavoratore dipendente o autonomo.

Un corso per bagnini di salvamento deve essere formato almeno da 8-10 corsisti per azzerare i costi fissi (che sono in gran parte quelli derivanti dall’uso della piscina) e si ottiene un “surplus” solo quando, di massima, si superano le dieci unità. Un numero più elevato di imprese, no profit o commerciali che siano, non avrà l’effetto di aumentare il numero dei corsisti, bensì quello di redistribuirlo tra più operatori che dovranno aumentare il costo del corso per tenerlo in piedi. I costi fissi sono distribuiti infatti sul numero dei partecipanti.

Non è certo per il costo attuale di un corso né per la mancanza di offerte formative che c’è penuria di bagnini, la quale è provocata invece dalla disaffezione per il mestiere, purtroppo preoccupante perché il ruolo di bagnino è necessario e obbligatorio per legge, affinché uno stabilimento balneare possa funzionare. Per questo, i concessionari demaniali – che finora non hanno dimostrato un grande interesse per la vicenda – farebbero bene a preoccuparsene. Non sarà difficile per loro capire quanta parte in questa vicenda abbia invece l’invidia (basta leggere l’articolo di Mazzei).

La penuria dei bagnini dipende inoltre dalla paga molto bassa offerta ai giovani che entrano nel mercato del lavoro (cui non fa eccezione quello delle spiagge). Chi glielo fa fare a qualcuno di seguire un corso a pagamento che lo impegna per qualche mese, per fare poi un lavoro pagato poco e che gli attribuisce una responsabilità penale assai pesante? Se si aggiunge poi che talora – in un combinato congiunto con il reddito di cittadinanza – posso non far nulla, restando sul divano e guadagnando altrettanto o quasi, la frittata è fatta. Ma il colpo di grazia verrà da questo decreto, se non verrà modificato. Faccio purtroppo una facile profezia: la prossima estate non ci saranno più pochi bagnini come accade da qualche anno, ma anzi non ce ne saranno proprio, perché il sistema andrà in tilt. Il nuovo corso per bagnini di salvamento, secondo quanto previsto dal decreto, prevede infatti obbligatoriamente 20 ore di lezione in aula, 50 di pratica in piscina e 30 di apprendistato, per un totale di 100 ore! A occhio, equivale a sei mesi di corso. I costi maggiori verranno dalle spese di piscina (oggi andati alle stelle a causa dell’attuale situazione di rincaro sui costi delle bollette), e il decreto ne ha raddoppiato il monte ore. Per inciso, 20 ore in aula sono invece poche, segno che chi ha programmato il corso, non sa di cosa parla.

Dall’altra parte, invece, norma che prevede un tirocinio di 30 ore, pur essendo apparentemente ragionevole, è nella pratica difficile da realizzare, tale da rendere quasi impossibile la tenuta di un corso. L’apprendistato infatti non deve essere svolto per avviare al lavoro un soggetto, ma è previsto come parte del corso: in sostanza, l’esame per il conseguimento del brevetto può essere sostenuto solo una volta espletato e attestato l’avvenuto tirocinio. Qui, davvero, chi ha redatto il decreto ha fatto un errore da matita rossa. L’uso del termine è infatti inappropriato: il tirocinio è un istituto del diritto del lavoro, regolato nell’ambito delle leggi sull’apprendistato; il tirocinante partecipa delle attività lavorative e, come tale, è assoggettato al regime giuridico giuslavoristico, se non altro sotto il profilo dell’assicurazione (Inail) e delle norme sulla sicurezza del lavoro, ed è inoltre remunerato. Non può dunque essere attestato dal dipendente di un’azienda (“bagnino di salvataggio – assistente bagnante” da almeno tre anni, ohibò, come prevede il decreto!), bensì dal responsabile dell’impresa, stabilimento balneare o piscina che sia, e che deve formalmente assumere un dipendente per attestarne il tirocinio (cfr. Codice civile, libro V del lavoro, titolo II, art. 2130 e seguenti; e nota informativa del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 2977 del 5 dicembre 2005).

Le difficoltà maggiori sono di ordine pratico, facilmente immaginabili, e che quindi tralascio. Non posso tacere invece del fatto che il decreto non dovrebbe comportare oneri per lo Stato. Ma una Capitaneria di porto, come quella della Direzione marittima di Genova, dovrà gestire qualche migliaio di brevetti ogni anno: ci vorrà dunque un nuovo ufficio, per non parlare dei medici, obbligatoriamente docenti del corso ed esaminatori, che devono appartenere ad alcune categorie della struttura pubblica dell’area di medicina e chirurgia d’urgenza o dell’area di anestesia e rianimazione appartenente ai servizi di emergenza territoriale. Medici di difficile reperibilità (oggi più di ieri), che devono insegnare nel corso e fare gli esami gratuitamente. Mi sembra poi semplicemente assurdo pretendere da un professionista che partecipa a un’attività commerciale – da cui qualcuno ricava un profitto – che debba farlo gratis. Bisognerà coscriverli.

Ma non è finita qui. Secondo il decreto, infatti, un’organizzazione (associazione o impresa commerciale che sia) non dovrebbe avere nemmeno una competenza specifica per il rilascio dei corsi! L’unico requisito richiesto per avere titolo alla domanda – oltre alle consuete formalità burocratiche – è che il titolare (!) dell’ente abbia il brevetto di bagnino da almeno tre anni! Quindi anche un’associazione di alpini, il cui presidente abbia fatto almeno da tre anni un corso di salvamento in acqua, potrà formare nuovi bagnini. È previsto inoltre il possesso di una lavagna luminosa, e per fortuna si sono scordati del ciclostile… Ma chi ha potuto scrivere cose del genere?

In sostanza, il decreto 206/2016 è così mal scritto che illustrarne le manchevolezze richiederebbe ben altro che queste pagine (già così troppo lunghe), tanto è vero che il milleproroghe dello scorso febbraio ha incaricato il Ministero dei trasporti di apportare le opportune modifiche per renderlo almeno presentabile.

L’articolo firmato da Mazzei è ben scritto e Mazzei è un abile imprenditore. D’altra parte, basta andare sul sito di Salvamento Academy per rendersi conto del valore dell’offerta: il corso di “alta formazione” (sottolineo, “alta formazione”) per diventare un istruttore di Academy, leggo dal suo sito, dura due giorni (!) e ha un costo di 800 euro. Questa impresa è costruita sul modello delle associazioni subacquee commerciali (Mazzei difatti era un subacqueo) che, in essenza, è il seguente: “ti formo come istruttore e dopo puoi fare i corsi dove ti pare; mi mandi poi i verbali d’esame pagando un tot per ogni brevetto che ti rilascio”. Quindi, in seguito alla liberalizzazione prevista dal decreto, Mazzei invaderà l’Italia di istruttori targati Salvamento Academy che faranno i corsi ovunque, e purtroppo il loro brevetto avrà un valore legale e avrà lo stesso valore di quello di un’organizzazione che esiste e si occupa di queste cose – sussidiariamente per lo Stato – da 150 anni. Insomma, la moneta cattiva scaccia la moneta buona. Tanto più che, non essendoci più un rapporto fiduciario tra lo Stato e l’ente, dal brevetto rilasciato dalla Capitaneria non si potrà evincere chi abbia formato il bagnino. D’altra parte Mazzei, che non ha mai fatto il bagnino professionalmente, ha sicuramente un brevetto di bagnino da oltre tre anni, quindi ha titolo per fare i corsi. Ah, dimenticavo di dire che i suoi corsi sono svolti sulla piattaforma e-learning, ovvero online. Miracoli del web.

Quello che spero vivamente è che il decreto sia debitamente corretto in tempo dal Comando generale della Capitaneria e dal Ministero, prima di provocare un disastro.

L’articolo Perché la liberalizzazione dei corsi di salvamento è sbagliata proviene da Mondo Balneare.

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